LICENZIAMENTO: TUTELE CRESCENTI INCOSTITUZIONALI

La Consulta nel comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte - non modificata dal successivo Decreto legge n.87/2018, cosiddetto “Decreto dignità” – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.


In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.

La Corte Costituzionale ritiene contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro, sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore o della lavoratrice.

Nell’ordinanza di remissione (Trib. Roma, 26 luglio 2017) la giudice ha osservato come l’indennità fissa e predeterminata cui avevano diritto i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo – pari a due mensilità per ogni anno di servizio – rappresentasse una misura «modesta ed evanescente», nonché «inadeguata» e priva di effetti dissuasivi o deterrenti nei confronti del datore di lavoro, costituendo di fatto uno strumento idoneo a ripristinare «l’assoluta libertà di licenziamento».
Con la sentenza del Tribunale di Bari n. 43328 del 11 ottobre 2018 si sono anticipati gli effetti della sentenza della Consulta preannunciati con il comunicato stampa di cui sopra.

La giudice del Tribunale di Bari, seguendo un’interpretazione conforme alla dichiarazione di incostituzionalità, ha disapplicato il criterio di calcolo automatico, decidendo diversamente sull’ammontare dell’indennità da corrispondere al lavoratore ingiustamente licenziato.

In considerazione e in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento per la violazione della procedura prevista la giudice avrebbe dovuto applicare l’art. 3 comma 1 del d.lgs. n. 23/2015, dato che il lavoratore era stato assunto in data successiva al 7 marzo 2015 e il licenziamento intimato prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 87/2018. In base al meccanismo di calcolo automatico, il lavoratore, che aveva lavorato per un solo anno di servizio, avrebbe potuto così aspirare alla corresponsione di un’indennità minima pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

La giudice, tuttavia, ha applicato i criteri stabiliti all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla l. 28 giugno 2012 n. 92, che affidavano la valutazione dell’ammontare dell’indennità, in caso di licenziamento illegittimo, ai giudici, caso per caso, sulla base della durata del rapporto, ma anche delle dimensioni della società e del comportamento delle parti. In questo caso, bilanciando la gravità della violazione procedurale da parte della società con gli altri criteri di cui all’art. 18, comma 5, la giudice ha ritenuto che la società datrice dovesse essere condannata a corrispondere un’indennità al lavoratore pari a dodici mensilità.
In data 8 novembre 2018 la Corte Costituzionale ha depositato il testo della sentenza n. 194/2018 annunciata con il predetto comunicato stampa con cui ha reso note le motivazioni a sostegno della pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015.

Dott. Lorenzo Testai

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